Fabbricante di Lacrime (Le uniche lacrime fabbricate sono le mie, per il trash)

[This review was also published in English and in Spanish.]

Attenzione:
Si prega di non fare drinking game o comunque bere alcolici per i conteggi.
Lo staff non si prenderà la responsabilità di eventuali danni a persone o cose.
Siete stati avvisati.

Shade Owl (con in mano una damigiana di vodka): – Eh, ma che cavolo!-

Inoltre, ci teniamo a ribadire che, come nel caso delle stroncature di fyccine squallide, questa recensione non vuole in alcun modo essere offensiva nei confronti dell’autrice di questo libro come persona.

Benvenuti o ben ritrovati, commedianti e tragedianti. Io sono Spectrethief, bastardo galantuomo e traduttore a cui però piace bazzicare anche in altri ambiti.

Per lo più mi occupo di traduzioni su questo blog, ma eccezionalmente per oggi sono qui come recensore, non di una fanfic, ma di un libro.
Fabbricante di Lacrime è il primo romanzo dell’autrice Erin Doom, che, nonostante lo pseudonimo che si è scelta, è italiana e ha fatto di recente il face reveal alla trasmissione Che tempo che fa.

La storia, stringendo, parla di questa ragazza orfana, di nome Nica, che viene adottata insieme al compagno di orfanotrofio (nonché bad boy di turno), tale Rigel.
Come da copione, nonostante Rigel sia pericoloso e violento, lei cerca di provare a comprenderlo, si scopre il passato tragico del maschione e di lei, ci sono varie avversità e poi i due si sposano.
Una trama mai vista, proprio.

“E il fabbricante di lacrime?”, vi chiederete. Oh oh oh, il titolo (peraltro, vagamente fantasy) non c’entra praticamente nulla con la storia.

Che dire? Questo libro non è diverso dalle tante fyccine recensite qui, anzi.
A parte la retorica pesante, non ha molto da invidiare alla fyccina media di Wattpad (e non è strano, visto che la sua prima versione è stata pubblicata su Wattpad, proprio come After).

Insomma, è uno spreco di carta che racconta la romanticizzazione di una relazione abusiva, contornata dai soliti luoghi comuni atroci. Non c’è molto altro da dire, ma rimando volentieri alle ottime videorecensioni di Ilenia Zodiaco e Matteo Fumagalli.

Tizi* a caso:- Eh no.-

SpectreThief:- Uh?-

Tizi* a caso:- Hai scomodato queste persone per dire due parole in croce ? Ora devi intrattenere decentemente.-

(Che figura di merda, ma non posso fermarmi. Continua a mantenere il sorriso, Spectre.)


Va bene, andiamo ad argomentare. In fondo non mi piace che mi si creda senza un’argomentazione.
Per meglio tener conto delle brutture di questo romanzo, terremo quattro punteggi: uno per i cliché, uno per il bad boy, uno per le cose malate ritratte come amore e un altro per le stranezze non classificabili. Si prega di seguire l’avvertimento all’inizio della recensione. E di non stracciarvi i capelli durante la recensione.

Evgenij:- Sarà difficile, sono già come nella mia immagine profilo.-

Shade Owl: – Nessuno a parte Gaia può proibirmi i dinking game!- (SpectreThief alza le mani.)

Io ho messo l’avviso. Poi quello che succede non è affar mio.


Il titolo del libro viene da una leggenda che racconta di questo fabbricante di lacrime, che fa
piangere le persone.

Morale: “«Ricorda: non puoi mentire al fabbricante di lacrime»” e

che ogni bambino può essere buono; che deve essere buono, perché nessuno nasce cattivo. Non è nella nostra natura.


Si vede che l’autrice è una sostenitrice di Rousseau, secondo il quale tutti gli uomini sono buoni per natura.
Io invece sostengo Voltaire, ma non discuterò questa sua idea.
Devo spezzare una lancia a favore di Erin Doom per le citazioni ad inizio di ogni capitolo: se non altro, fanno capire che ha letto molte opere. Un po’ meno per le autocitazioni che si è fatta.

Nel primo capitolo ci viene presentata Nica, la solita ragazza casta e pura, orfana come abbiamo detto sopra, ma che all’orfanotrofio nessuno vuole adottare per motivi a me ignoti. Se è così buona e bella, non dovrebbe esserci la fila?


Dov’è che l’ho già sentito?: 1.

Credo che mi divertirò.

Shade Owl (bevendo il primo shottino): – E siamo già al primo cliché!-

Comunque, finalmente arriva una gioia nella vita di questa povera ragazza, dato che una
coppia la vuole adottare. Insieme al bad boy di turno, Rigel.

(Fun fact: A fine scrittura mi è stato fatto notare che avevo scritto Nigel e ho dovuto correggere tutto.)


Dov’è che l’ho già sentito?: 3.

Oltre al cliché del Bad boy, anche molti manga hanno trame simili.

Ho un po’ di perplessità. Vi elenco i motivi perché così si fa prima:

1) I genitori adottivi non hanno mai incontrato Nica e Rigel prima di decidere l’adozione, il che è strano. Almeno una volta avrebbero dovuto vederli.

2) Non sanno nulla di loro, a parte la cartella clinica. E anche lì ci sta un problema, come vedrete più avanti.

3) Ormai gli orfanotrofi in Italia sono stati tutti chiusi nel 2006 in base alla legge 149 del 2000, visto che è stato preferito usare sistemi di affidamento alternativi o case famiglia. Peraltro, questo è vero anche negli USA. Ops.


Tempo di ricerca: 6 minuti.

Shade Owl: – Evvai, c’è pure un Elenco Numerato!!!!-

Evgenij:- D’altra parte, questo romanzo è ambientato nel Nord America Fyccinaro™, proprio come “Danger“, “Top Secret“, “Big Secret” e via dicendo. Cercare delle verosimiglianze è un po’ inutile. A tal proposito, mi pare giusto menzionare il nome dell’orfanotrofio in questione: Grave. Ovvero, tomba. Una metafora sottile come una sequoia secolare.-

Dovrei staccare il cervello: 4.

In compenso, l’autrice si è ricordata che prima c’è un periodo di prova con la nuova famiglia, e solo dopo l’adozione. Ma è soltanto un modo per far apparire la protagonista ancora più buona.

I quattro arrivano a casa, lei si gode la stanza, è felice, tutto abbastanza normale. È pur sempre una
ragazza che ha vissuto in orfanotrofio da quando ha memoria.

Poi ha questa discussione con Rigel, perché dato che ora stanno nella stessa casa vuole che vada tutto bene.

1
Una nuova casa

Vestita di dolore, lei restava la cosa
più bella e splendente del mondo.

«Vogliono adottarti».

Non avrei mai creduto di sentire quelle parole in vita mia.

Lo avevo desiderato così tanto, da bambina, che per un momento ebbi il dubbio di essermi addormentata e di star sognando. Di nuovo.

Eppure non era la voce dei miei sogni, quella.

Era il tono ruvido della signora Fridge, condito da quel velo di disappunto che non ci aveva mai risparmiato.

«Me?» chiesi in un filo di voce incredula.

Lei mi guardò con il labbro superiore arricciato.

«Te».

«Ne è sicura?»

Serrò la penna tra le dita grassocce e la sua occhiata mi fece subito stringere le spalle.

«Ora sei diventata sorda?» latrò infastidita. «O per caso credi che lo sia io? L’aria aperta ti ha forse foderato le orecchie?»

Mi affrettai a scuotere la testa, gli occhi spalancati dallo stupore.

Non era possibile. Non poteva esserlo.

Nessuno voleva i ragazzi adolescenti. Nessuno voleva i grandi, mai, per alcun motivo… Era un dato appurato. Era un po’ come al canile: tutti volevano i cuccioli, perché erano carini, innocenti, facili da addestrare; nessuno voleva i cani che erano lì da una vita.

Non era stata una verità facile da accettare per me, che sotto quel tetto ci ero cresciuta.

Finché eri piccolo almeno ti guardavano. A mano a mano che crescevi, però, gli sguardi diventavano occhiate di circostanza, e la loro compassione ti scolpiva tra quelle quattro pareti per sempre.

Ma ora… Ora…

«La signora Milligan vuole parlare un po’ con te. È giù che ti aspetta; falle fare un giro dell’istituto, e vedi di non rovinare tutto. Tieniti per te i tuoi atteggiamenti da svampita e forse con un briciolo di fortuna riuscirai ad andartene».

Mi sentivo frullare.

Mentre scendevo, sentendo il vestito buono sfiorarmi le ginocchia, mi chiesi ancora se quella non fosse solo una delle mie innumerevoli fantasie.

Era un sogno. Ai piedi delle scale trovai un viso gentile ad accogliermi: apparteneva a una donna un po’ avanti di età, con un soprabito stretto tra le braccia.

«Ciao» mi salutò in un sorriso, e mi accorsi che guardava proprio me, negli occhi, come non mi capitava da tanto tempo.

«Buongiorno…» esalai con voce sottile.

Mi disse che mi aveva vista prima, in giardino, quando era entrata dal cancello di ferro battuto: mi aveva notata tra l’erba incolta e i nastri di luce che filtravano dagli alberi.

«Io sono Anna» si presentò quando iniziammo a passeggiare.

Aveva una voce vellutata, resa mite dagli anni, e io restai a guardarla con occhi incantati; mi chiesi se fosse possibile restare folgorati da un suono, o affezionarsi a qualcosa che si è appena sentito.

«Tu? Come ti chiami?»

«Nica» risposi, cercando di contenere l’emozione di quel momento. «Mi chiamo Nica».

Lei mi osservò incuriosita, e non guardai nemmeno dove stavo mettendo i piedi tanta era la voglia di ricambiare quello sguardo.

«È un nome davvero particolare. Non l’ho mai sentito prima, sai?»

«Sì…» sentii la timidezza rendere il mio sguardo sfuggente e trepidante. «Me lo hanno dato i miei genitori. Loro… ecco, erano due biologi. Nica è il nome di una farfalla».

Di mamma e papà ricordavo davvero poco. E vagamente, come se li sentissi attraverso un vetro troppo appannato. Se chiudevo gli occhi e restavo in silenzio, potevo rivedere i loro volti sfocati guardarmi dall’alto.

Avevo cinque anni quando morirono.

Il loro affetto era una delle poche cose che ricordavo – e disperatamente ciò che mi era mancato di più.

«È un nome davvero grazioso. Nica…» Arrotolò il mio nome sulle labbra, quasi a volerne saggiare il suono. «Nica» ripeté definitiva; poi delicatamente annuì.

Mi guardò in viso e io mi sentii illuminare. La mia pelle sembrava indorarsi sotto i suoi occhi, come se potessi brillare solo per uno sguardo ricambiato – non era poco, non per me.

Il tempo lo impiegammo a passeggiare per l’istituto. Mi chiese se fossi lì da molto, e io le risposi che ci ero praticamente cresciuta; era una bella giornata e facemmo il giro del giardino, sfilando accanto all’edera rampicante.

«Cosa stavi facendo prima… quando ti ho vista?» domandò tra una chiacchiera e l’altra, indicandomi un angolo lontano, tra i boccioli di erica selvatica.

I miei occhi volarono a quel punto, e senza nemmeno sapere perché sentii l’impulso di nascondere le mani.

«Non fare la svampita» mi aveva ammonita la signora Fridge e quelle parole ora lampeggiavano nella mia testa.

«Mi piace stare all’aria aperta» dissi lentamente. «Mi piacciono… le creature che ci vivono».

«Ci sono animali, qui?» chiese lei, un po’ ingenuamente, ma ero stata io a non spiegarmi bene e lo sapevo.

«Quelli più piccoli, sì…» risposi vaga, attenta a non pestare un grillo. «Quelli che spesso nemmeno vediamo…»

Arrossii un po’ incrociando il suo sguardo, però lei non mi domandò oltre. Condividemmo invece un silenzio leggero, tra il cinguettio delle ghiandaie e il sussurrare dei bambini che ci spiavano dalla finestra.

Mi disse che suo marito sarebbe arrivato a momenti. Per conoscermi, lasciò intendere, e io sentii il cuore rendermi leggera come se riuscissi a volare. Mentre rientravamo mi chiesi se potessi imbottigliare quelle sensazioni e conservarle per sempre. Nasconderle nella federa del cuscino e guardarle rilucere come madreperla nella penombra della notte.

Non mi sentivo così felice da molto tempo.

«Jin, Ross, non correte» dissi giocosamente quando i due bambini ci passarono in mezzo, smuovendo la gonna del mio vestito. Ridacchiarono e filarono su per le scale, facendo scricchiolare le vecchie assi.

Tornando a incrociare lo sguardo della signora Milligan mi accorsi che mi stava osservando. Fissò in alternanza le mie iridi con una punta di quella che sembrava quasi… ammirazione.

«Hai degli occhi davvero molto belli, Nica» mi svelò dopo un momento, senza preavviso, «lo sai?»

L’imbarazzo mi morse le guance e io mi ritrovai senza parole da dire.

«Te lo avranno detto tante volte» mi incitò discreta, ma la verità era che no, nessuno al Grave mi aveva mai detto qualcosa del genere.

I bambini più piccoli ingenuamente mi chiedevano se vedessi a colori come gli altri. Dicevano che avevo ‘gli occhi del colore del cielo che piange’ perché erano di un grigio sorprendentemente chiaro, screziato, fuori dal comune. Sapevo che in tanti li trovavano strani, ma mai nessuno mi aveva confessato di trovarli belli.

Quel complimento mi fece tremare impercettibilmente le dita.

«Io… No… ma grazie» farfugliai impacciata, facendola sorridere. Di nascosto mi pizzicai il dorso della mano e accolsi quel dolore sottile con una gioia infinita.

Era reale. Era tutto reale.

Quella donna era davvero lì.

Una famiglia, per me… Una vita con cui ricominciare fuori da lì, fuori dal Grave…

Avevo sempre creduto che sarei rimasta rinchiusa tra quelle mura ancora per molto tempo. Altri due anni, fino al compimento dei miei diciannove – fino a prova contraria, quella era l’età in cui si diventava legalmente adulti nello Stato dell’Alabama.

Ma ora no, ora non dovevo più aspettare di diventare maggiorenne. No, avevo finito di pregare che qualcuno venisse a prendermi…

«Cos’è?» chiese d’un tratto la signora Milligan.

Aveva il viso sollevato e fissava rapita l’aria attorno a sé.

Fu il momento in cui la sentii anche io. Una melodia bellissima. Lì, tra le crepe e l’intonaco scrostato, risuonarono le vibrazioni di note armoniose e profonde.

Una musica angelica si diffuse per le pareti del Grave, ammaliante come il canto di una sirena, e io sentii i nervi arricciarsi nella carne.

La signora Milligan si allontanò affascinata, seguendone il suono, e non potei che andarle dietro, rigida. Giunse davanti all’arco di una stanza, il nostro salotto, e lì si fermò.

Rimase così, ammaliata, a fissare la fonte di quella meraviglia invisibile: il vecchio pianoforte a muro, obsoleto e un po’ scordato, che nonostante tutto cantava ancora.

E più di ogni altra cosa quelle mani… Quelle mani bianche, dai polsi definiti, che scivolavano fluide e sinuose lungo la dentatura di tasti.

«Chi è…» esalò la signora Milligan dopo un momento. «Chi è quel ragazzo?»

Strinsi le dita tra le pieghe del vestito; tentennai, e lui là in fondo si fermò.

Le braccia si arrestarono lentamente; le spalle dritte, composte, stagliate sul muro.

Poi, senza fretta, come se lo avesse previsto, come se già sapesse, si voltò.

A girarsi indietro fu una aureola di capelli folti e neri come ali di corvo. Un volto pallido, dalla mandibola tagliente, su cui spiccarono affusolati due occhi più scuri del carbone.

Ed eccolo, quel fascino letale. La bellezza maliarda dei suoi tratti, con quelle labbra bianche e i lineamenti finemente cesellati, fece tacere accanto a me la signora Milligan.

Ci fissò da sopra la spalla, con ciocche a sfiorargli gli zigomi alti e lo sguardo basso, brillante. E in un tremito fui certa di vederlo sorridere.

«È Rigel».

Avevo sempre desiderato una famiglia più di ogni altra cosa. Avevo pregato che ci fosse qualcuno per me, là fuori, disposto a prendermi con sé, a darmi la possibilità che non avevo mai avuto.

Era troppo bello per essere vero.

Se mi soffermavo a pensarci, ancora non riuscivo a realizzarlo. O forse… non volevo realizzarlo…

«Tutto bene?» mi chiese la signora Milligan.

Era seduta accanto a me nei sedili posteriori.

«Sì…» mi sforzai, atteggiando un sorriso. «Tutto… benissimo».

Strinsi le dita in grembo, ma lei non se ne accorse. Tornò a voltarsi, indicandomi di tanto in tanto qualcosa fuori dal finestrino mentre il paesaggio scorreva attorno a noi.

Eppure la ascoltai appena.

Lentamente puntai lo sguardo nel riflesso del vetro davanti. Accanto al posto di guida, occupato dal signor Milligan, una chioma di capelli neri sfiorava il poggiatesta.

Lui guardava fuori senza interesse, il gomito contro la portiera e la tempia appoggiata alle nocche.

«Là in fondo c’è il fiume» disse la signora Milligan, ma quegli occhi neri non seguirono ciò che stava indicando. Sotto le ciglia scure, le iridi fissavano in maniera blanda il paesaggio.

Poi, di netto, come se mi avesse sentita, le sue pupille trovarono le mie.

Mi incrociò nel riflesso del vetro, gli occhi penetranti, e io mi affrettai ad abbassare il viso.

Tornai ad ascoltare Anna sbattendo le palpebre e annuendo con un sorriso, ma sentii quello sguardo bucare l’aria attraverso l’abitacolo senza più lasciarmi andare.

Dopo qualche ora la macchina rallentò fino a svoltare in un quartiere ombreggiato dagli alberi.

Casa Milligan era un villino in mattoni uguale a molti altri. Aveva uno steccato bianco, corredato da una cassetta per la posta, e una girandola per il vento incastrata tra le gardenie.

Intravidi un albero di albicocche nel piccolo giardino sul retro, e allungai il collo per sbirciarlo, osservando quell’angolo di verde con un interesse genuino.

«Pesa?» chiese il signor Milligan, quando presi la scatola di cartone con dentro le poche cose che avevo. «Avete bisogno di una mano?»

Scossi la testa, lieta di quella sua gentilezza, e lui ci fece strada.

«Venite, da questa parte. Oh, il vialetto è un po’ dissestato… attenti a quella mattonella, sporge. Avete fame? Volete mangiare qualcosa?»

«Lascia che prima sistemino le loro cose» disse Anna, serena, e lui si aggiustò gli occhiali sul naso.

«Oh, certo, certo… Sarete stanchi, eh? Venite…»

Aprì la porta di casa. Io osservai il tappetino sulla soglia con su scritto ‘Home’» e per un momento sentii il cuore accelerare i battiti.

Anna inclinò il viso, docile. «Vieni pure, Nica».

Allungai un passo e mi trovai nell’ingresso stretto.

La prima cosa che mi colpì fu l’odore.

Non era l’odore di muffa delle camere del Grave, né quello delle infiltrazioni di umidità che macchiavano l’intonaco dei nostri soffitti.

Era un odore particolare, pieno, quasi… intimo. Aveva qualcosa di speciale, e mi resi conto che era lo stesso odore che aveva anche Anna.

Fissai l’interno con occhi luminosi. La carta da parati un po’ consunta, le cornici che costellavano qua e là le pareti; il centrino sul tavolo lì accanto, vicino alla ciotola per le chiavi. Aveva tutto un che di talmente vissuto e personale che rimasi un istante sul ciglio della porta, incapace di muovere un passo.

«È un po’ piccola» si imbarazzò il signor Milligan, grattandosi la testa, ma io non lo sentii neanche.

Dio, era… perfetta.

«Le camere sono di sopra». Anna salì su per la stretta rampa di scale, e io ne approfittai per lanciare un’occhiata di sottecchi a Rigel.

Reggeva la sua scatola con un braccio, e si guardava intorno a viso basso: gli occhi scorrevano sinuosi da una parte all’altra, senza lasciar trasparire nulla.

«Klaus?» pronunciò il signor Milligan, cercando qualcuno. «Dove si sarà cacciato?» Lo sentii allontanarsi mentre salivamo al piano superiore.

Ci sistemammo nelle due camere a disposizione.

«Qui c’era un secondo salottino» mi disse Anna, aprendo la porta di quella che sarebbe stata la mia camera. «Poi è diventata la stanza degli ospiti. Sai, se fosse venuto qualche amico di…» tentennò, bloccandosi un momento. Sbatté le palpebre, articolando un sorriso. «Non importa… Insomma, è tua adesso. Ti piace? Se c’è qualcosa che preferiresti cambiare, o spostare, non so…»

«No…» sussurrai, sulla soglia di una stanza che finalmente potevo definire solo mia.

Non più camere condivise, o le tapparelle che segavano la luce all’alba; non più il pavimento gelido e impolverato, o il grigiore delle pareti color topo.

Era una stanzetta discreta, con un bel parquet e un lungo specchio in ferro battuto nell’angolo in fondo. Il vento che entrava dalla finestra aperta gonfiava morbidamente le tende di lino, e le lenzuola pulite spiccavano bianchissime su un caldo copriletto vermiglio; mi ritrovai a sfiorarne un angolo candido, quando mi avvicinai con ancora la scatola sottobraccio. Controllai che la signora Milligan fosse andata di là e poi mi abbassai frettolosamente ad annusarle: l’odore fresco di bucato mi inebriò le narici e io chiusi gli occhi, inspirandolo a fondo.

Come era buono…

Mi guardai intorno, incapace di realizzare che avessi quello spazio tutto per me. Poggiai la scatola sul comodino, la aprii e raschiai sul fondo. Presi il pupazzino a forma di bruco, un po’ ingrigito e rovinato – l’unico ricordo che mi restava di mamma e papà – e lo appoggiai al centro del cuscino.

Fissai il guanciale con occhi lucenti.

Mio…

Passai il tempo a sistemare le poche cose che avevo. Appesi sulle grucce una a una le magliette, il mio maglione bitorzoluto, i pantaloni; controllai i calzini e spinsi quelli più bucati in fondo al cassetto, sperando che così non si notassero.

Mentre scendevo, dopo aver lanciato un’ultima occhiata alla porta della mia camera, mi chiesi con aspettativa se quell’odore che c’era nell’aria presto lo avrei avuto addosso anche io.

«Siete sicuri che non volete niente da mangiare?» chiese Anna più tardi, guardandoci con apprensione. «Anche qualcosa di veloce…»

Declinai, ringraziandola. Durante il viaggio avevamo fatto tappa in un fast food e mi sentivo ancora sazia.

Lei però non parve molto sicura; mi guardò un momento, poi spostò lo sguardo alle mie spalle.

«E tu, Rigel?» esitò. «Lo pronuncio correttamente? Rigel, giusto?» ripeté accorta, recitandolo così com’era scritto.

Lui annuì, prima di rifiutare la sua richiesta nel mio stesso modo.

«Okay…» acconsentì lei. «Ci sono dei biscotti, in ogni caso, e il latte è in frigo. Ora se volete andare a riposare… Oh, la nostra è l’ultima camera in fondo, dall’altra parte del corridoio. Per qualsiasi cosa…»

Si preoccupava.

Si preoccupava, realizzai, con il petto che vibrava leggero, si preoccupava per me, se mangiavo, se non mangiavo, se mi mancava qualcosa…

A lei interessava davvero, e non per superare i controlli saltuari dei Servizi Sociali come faceva la signora Fridge, quando dovevamo farci trovare tutti puliti e con le pance piene davanti agli ispettori.

No. A lei importava sul serio…

Mentre tornavo di sopra, scorrendo le dita lungo tutto il corrimano, mi sfiorò l’idea di scendere nel cuore della notte e mangiare biscotti al bancone della cucina come vedevo fare alla televisione, nei film che spiavamo dalla fessura della porta quando la signora Fridge si addormentava sulla poltrona.

Dei passi mi fecero voltare.

Rigel comparve dalla scala. Svoltò dandomi le spalle, ma per qualche motivo fui sicura che mi avesse vista.

Per un momento mi ricordai che in quel quadretto finemente ricamato c’era anche lui.

Che quella nuova realtà, per quanto bella e desiderata, non era solo zucchero, calore e meraviglia. No: c’era un orlo più nero in fondo, come una bruciatura, il marchio di una sigaretta.

«Rigel».

Lo sussurrai di getto, come se mi fosse balzato fuori dalle labbra prima che potessi fermarlo. Lui si arrestò al centro del corridoio deserto e io esitai, incerta.

«Ora… ora che noi…»

«Ora che noi… cosa?» domandò la sua voce, in quel modo tortuoso e sottile che per un momento mi fece tentennare.

«Ora che noi siamo qui, insieme» continuai, guardando la sua schiena, «io… vorrei che funzionasse».

Che tutto quello funzionasse, anche se dentro c’era lui e io non potevo farci niente. Anche se lui era quel marchio carbonizzato, e per un momento pregai che non divorasse quel ricamo finissimo… In uno slancio di disperazione desiderai che quel sogno di pizzo non si sfaldasse.

Lui rimase immobile un istante; poi, senza una parola, riprese a camminare. Si avviò alla porta della sua camera e io sentii le spalle scivolare più in basso.

«Rigel…»

«Non entrare nella mia stanza» lo sentii scoccare. «Né ora, né in futuro».

Gli rivolsi un’occhiata inquieta, sentendo sgretolarsi la mia richiesta di buoni propositi.

«È una minaccia?» chiesi piano, mentre girava la maniglia.

Lo vidi aprire la porta, ma all’ultimo si fermò: ruotò il mento e i suoi occhi mi fissarono da oltre la spalla. E io vidi, un momento prima che chiudesse la porta, il sorriso pericolosamente affilato sopra lo spigolo della mandibola.

Quel ghigno era la mia condanna.

«È un consiglio, falena».


Dov’è che l’ho già sentito?: 4.

‘Sta mania dei ghigni non lo capirò mai.

Evgenij:- Immagino che dovrebbero essere fascinosi, ma a me fanno venire in mente solo un cattivo abbastanza stereotipato e ridicolo. A proposito di ridicolo, la chiama falena perché Nica è il nome di una specie di farfalla. Già.-

Segue uno scorcio sul passato di loro due: l’orfanotrofio era un posto orribile, nessuno l’ha mai scelta, Rigel invece era diverso da tutte e tutti, ed era perfetto, però la trattava male e al contempo ingannava le altre persone (celando così la sua malvagità).

Dov’è che l’ho già sentito?: 7.


Shade Owl – Hic… sciamo scià a sciette… hic?-

Rigel mi strattonava bruscamente i vestiti che indossavo, mi tirava le punte dei capelli, scioglieva i fiocchi delle mie trecce; i nastri si accasciavano ai suoi piedi come farfalle morte, e tra le ciglia umide vedevo un sorriso crudele tagliargli le labbra prima che scappassi via.

Eppure non mi toccava mai.

O Rigel ha poteri telecinetici, o è una frase buttata lì. Mistero anche sul come nessuno l’abbia beccato almeno una volta.
E capirai, molti bambini all’asilo si comportano così, quindi non lo conto.


Mi spingeva e strattonava, e io finivo per avere le maniche slargate, ma mai un segno sulla mia pelle, come se non volesse lasciarmi addosso le prove della sua colpa. O forse erano le mie lentiggini a creargli repulsione. Forse mi disprezzava tanto da non volermi toccare.



Ripeto, o Rigel sa usare la telecinesi o è una frase fatta. E le lentiggini ultimamente sono di moda.
Certo che è strano leggere questo sapendo che si innamoreranno.


Dovrebbe essere romantico?: 1.

Evgenij:- Ecco, magari diciamolo esplicitamente: fare i dispetti non è un modo sano di esprimere attrazione o interesse, neanche durante l’infanzia. Con ciò non voglio dire che bisogna colpevolizzare un bambino che lo faccia, ma neanche minimizzare la cosa dicendo alla bambina cose del tipo “è perché gli piaci”. Sarò troppo ottimista, ma mi viene da pensare che basterebbe chiedere al bambino qualcosa del tipo: “Ti piacerebbe se qualcuno lo facesse a te?” Con me ha funzionato.-

Di tutte le persone al mondo, lui era l’ultima che avrei voluto lì.

Sarei mai stata in grado di ignorarlo?

Se è un tentativo poraccio di fare foreshadowing, sappi che non ci casca nessuno.

I due vanno a scuola e accade che, quando Rigel dice che andranno in classi separate, lei si acciglia.

«Che significa?» Mi morsi le labbra. Avevo appena formulato una domanda inutile, e non ci fu bisogno di vederlo inarcare un sopracciglio per rendermene conto. Ma non mi fidavo delle sue intenzioni, e non riuscivo a credere che non volesse trovare il modo di tormentarmi.

«Perché?» Rigel inclinò il volto, e la sua presenza statuaria mi fece sentire ancora più insignificante. «Non avrai davvero creduto… che volessi stare con te


Dovrebbe essere romantico?: 2.

Dov’è che l’ho già sentito?: 8.


Siamo solo al capitolo due e già Rigel mi sta sta simpatico quanto una ceretta total body.

La tensione ravvicinata del suo corpo bastò a raggelarmi. Stammi lontano, mi stava dicendo, ma era proprio lui a inchiodarmi contro quella porta, a respirarmi addosso, a impedirmi di andarmene…

Ecco un altro dei poteri di Rigel: quando fa ‘ste cose, non c’è mai nessuno nelle vicinanze o, se c’è un essere umano, non lo nota.

Dovrebbe essere romantico?: 3.

Evgenij:- Insomma, mettendo assieme tutti questi indizi, dovremmo concludere che Rigel ha i poteri di un Sith? Darth Rigel?-

Arriva anche l’amica generica della protagonista, ovvero Billie, e la bitch sarcastica, ovvero Miki. Vi avviso che saranno inutili per gran parte della trama, tranne per una scena che è una delle poche cose che mi sono piaciute di questo libro.

Dov’è che l’ho già sentito?: 9.

Avanti veloce, e arriviamo al punto dove scoppia una rissa tra Rigel e un altro tizio. Per “divergenze di pensiero”, come verrà detto più avanti da Rigel stesso.

Capito, bambini? Sono da stolti i dibattiti pacifici, meglio darsele come cavernicoli.

I veri uomini sono buzzurri: 1.

Tempo due secondi e questo pirla si fa già mettere in punizione. Dato che però anche l’altro tizio è un
poco di buono, Rigel se la cava con poco.

Evgenij:- Proprio come Justino el Biebero in “Hazard Hall“!-

Alle medie due miei compagni si sono picchiati e sono stati sospesi entrambi.

Neanche i genitori gli dicono nulla, segno del loro essere inutili dispositivi di trama.

Lui continua a fare lo stronzo e a dire a Nica che non è suo fratello. Ripeto, io dovrei
empatizzare con questo qui?

Anche tu, Nica, prima dici che non lo vuoi e poi lo cerchi in continuazione?

Dov’è che l’ho già sentito?: 10.

Arriva la sera e Nica legge fino a tardi un’enciclopedia illustrata per distrarsi. Ci fa anche sapere che Anna (la madre adottiva) è rimasta stupita della cosa.

Sapevo di essere diversa.

Coltivavo le mie stranezze come un giardino segreto di cui solo io avevo la chiave, perché sapevo che tanti non avrebbero potuto capirmi.

Percorsi la curva di una coccinella con il dito indice; mi ricordai quanti desideri ci avevo espresso, da bambina, guardandole volare via dai palmi aperti delle mie mani. Le osservavo librarsi in cielo, e nella mia impotenza mi ritrovavo a desiderare di poter fare lo stesso, di sbocciare in uno sfarfallio d’argento e spiccare il volo fuori dalle mura del Grave…

Dice di essere diversa perché ama gli animali.

Andiamo avanti che è meglio.

Evgenij:- Per carità, avere una maggiore sensibilità è un tratto distintivo anche encomiabile. Se solo fosse coerente con il resto del personaggio…-


Segue scena da film horror in cui la protagonista sente un rumore sospetti e va a controllare in pigiama.

Dov’è che l’ho già sentito?: 12 (ci metto anche la cosa dell’essere diversa).

Shade Owl (accasciato contro una parete): – … BRINDISCIGNO LÀ-LÀ-LÀ LÀ-LÀ-LÀ LÀ-LÀ-LÀ!!!-

Vidi qualcosa muoversi nell’oscurità. Un’ombra sgusciò rasoterra, rapida e felpata, e sembrò fermarsi, aspettarmi, scrutarmi un secondo. Svanì giù per le scale un attimo prima che la curiosità mi spingesse a seguirla.

Mi sembrò di scorgere una coda soffice, ma non fui abbastanza veloce da raggiungerla. Mi ritrovai al piano terra, in silenzio e totalmente sola, senza più riuscire a individuarla da nessuna parte. Sospirai, pronta a ritornare di sopra, ma in quel momento notai che la luce in cucina era accesa.

Non si tratta di ladri, ma di Rigel che è sceso a mettere del ghiaccio sui lividi.
Poco forzato che lo faccia ora, eh?
Dopo l’ennesima descrizione sul come sia bello e spaventoso, lei gli chiede perché si sia lasciato scegliere dai genitori adottivi.

«Credi che sia qualcosa che abbia deciso io?» domandò lentamente, studiandomi a lungo.

«Sì» risposi cauta. «Hai fatto in modo che accadesse… Hai suonato il pianoforte». I suoi occhi bruciarono di un’intensità quasi fastidiosa mentre dicevo: «Tu, che sei sempre stato quello che tutti volevano, non hai mai lasciato che ti portassero via».

Dovrei staccare il cervello: 6.

Dov’è che l’ho già sentito?: 13.

Questa cosa del piano mi ricorda qualcos’altro.

(SpectreThief si ricorda de Ai confini della realtà, stagione tre, episodio 22.)

Ah, sì.

Veniamo anche a sapere che, ogni volta che qualcuno voleva adottare Rigel, lui mandava a monte la cosa.

Lo conoscevo fin da bambino, e una parte della mia anima lo aveva visto ormai così tante volte da non provare più il crudo distacco che avrei voluto. Mi ero abituata a lui, in uno strano modo, sviluppando quell’empatia verso una persona con cui si è condiviso qualcosa per tantissimo tempo.

Ma se hai detto che non avete fatto altro che litigare. E credo che l’empatia sia un tantinello diversa.
Invece di tornare a dormire lei cerca di aiutarlo e segue l’ennesima scena patetica.

«Non farlo» mi ammonì con sguardo truce, «non ti azzardare a toccarmi».

«Non ti farà male…» scossi la testa allungando ancora le dita, ma questa volta lui le spinse via. Mi portai la mano al petto e sobbalzai quando incrociai i suoi occhi: mi stavano incenerendo, come stelle pulsanti di una luce che, invece di irradiare calore, bruciava di gelo.

«Non toccarmi con questa casualità. Mai».

Dovrebbe essere romantico?: 4.

I veri uomini sono buzzurri: 2.

Ma che vuol dire “con questa casualità”?


Per lo meno, lei risponde provocatoria chiedendo che cosa succederà e la sua risposta è….

«Altrimenti… non mi fermo».

Dovrebbe essere romantico?: 5.


Folks, ecco a voi un perfetto principe azzurro. La scarpetta la deve prendere in quel posto.

E siamo ancora al capitolo 3.
E questo è un libro di 37 capitoli.

«Nica è con le sue bestioline» dicevano i bambini quando eravamo più piccoli. «Sta con loro tutto il tempo, là, tra i fiori». Si erano abituati alla mia diversità, forse perché nel nostro istituto era più comune della normalità.

Sentivo una strana empatia con tutto ciò che era piccolo e incompreso. L’istinto di proteggere ogni tipo di creatura era nato quando ero bambina e non se ne era più andato.

Ennesimo cliché flashback sul come Nica ami prendersi cura delle bestiole e sul come la trovassero strana.
Premetto che è realistico dato che quando si è bambini non ci vuole molto a farti bollare come strano, ma è comunque un cliché.

Dov’è che l’ho già sentito?: 14.

Segue scena con la madre adottiva.

«Visto che ci stiamo conoscendo un po’… perché non ci dite qualcosa di voi?» Anna sorrise. «È tanto che vi conoscete? La vostra tutrice non ci ha detto nulla… Andavate d’accordo all’istituto?»

Ho già detto che la cosa è strana, visto che i candidati genitori incontrano sempre una volta i bambini e che devono almeno ricevere un fascicolo. Ma la cosa ancora più strana è che loro fingono di essere andati d’amore e d’accordo, perché, secondo Nica, se non andranno d’accordo li rimanderanno all’orfanotrofio e sarà tutta colpa sua.

Lei se ne va e lui la segue silenziosamente come un maniaco o un cattivo dei cartoni animati (fate voi), ed ecco l’ennesima scena trash.

«Se Anna e Norman vedessero… se loro vedessero… se vedessero che mi disprezzi così tanto… che da me non fai altro che scappare… che non è perfetto come credono… potrebbero cambiare idea, vero?»

Dovrebbe essere romantico?: 5.

I veri uomini sono buzzurri: 5.

C’è bisogno di dire che al massimo è lui quello che rischia di finire nei guai, visto che lei è solo una vittima? Questo non è romantico, autrice, è victim blaming, palese.

«Un giorno capiranno chi sei veramente» dissi a viso basso in un filo di voce.

«Ah, sì?» domandò lui, senza riuscire a trattenere una nota di divertimento. «E chi sono?»

Serrai le dita, sollevando uno sguardo lucido di biasimo. E con tutto il rimprovero che mi tremava in corpo, fissandolo dritto negli occhi, sputai dura: «Sei il fabbricante di lacrime».

Sì, delle MIE lacrime.

Evgenij:- Ed è così che si giustifica il titolo di un libro! Ma anche no!-

Andiamo avanti.

Lei ha un incubo, ovviamente a causa di Rigel. Tutto molto romantico!

Erano tornati i brutti sogni. No… In realtà non se ne erano mai andati. Non era bastato cambiare letto per non vederli più.

Possibile che la loro educatrice non abbia detto nulla alla coppia di genitori adottivi?

Più avanti capiremo.


Intanto Rigel si è fatto un esercito di fangirl.
Perché… si è menato con uno?

Evgenij:- In perfetta tradizione fyccinara, ribadiamolo.-

Ovviamente, non c’è nemmeno un ragazzo gay o bisessuale nel fanclub di Rigel, non sia mai!


Dov’è che l’ho già sentito?: 15.

I veri uomini sono buzzurri: 7.

Avanti veloce fino al ritorno a casa di Nica, dove vede un geco, ci parla, Norman (il padre adottivo) la sgama e segue una scena imbarazzante.

«Ero passato a fare uno spuntino veloce… Con chi parlavi?» domandò armeggiando con la cintola, e io accennai un sorriso.

«Oh, solo con…» ma mi bloccai. Lo stemma dello scarafaggio morto mi saltò prepotentemente agli occhi.

Mi voltai di scatto verso la bestiolina vicino a me e sbiancai quando la vidi inclinare la testa e fissarmi di rimando. Prima che Norman alzasse il viso, agguantai il geco in un lampo e lo nascosi dietro la schiena.

«… Nessuno».

Norman mi guardò perplesso e io sciolsi le spalle in una risatina un po’ rachitica.

[…]

«Che c’è lì?»

Norman si voltò, e io ne approfittai: chiusi il geco in una mano e poi lo lanciai di carica fuori dalla finestra. Vorticò nell’aria come una trottola e poi atterrò da qualche parte sull’erba soffice del giardino.

«C’è la lampada…»

Norman tornò a voltarsi, e io gli sorrisi smagliante. Mi guardò titubante e sperai che non si fosse accorto della mia stravaganza, anche se la sua espressione diceva il contrario.

“Facepalm”
Dirgli la verità? Tutti i proprietari di animali parlano alle loro bestiole. La mia vicina celebra pure le feste di compleanno dei suoi gatti. Parlarci è la cosa meno strana che fa.

Dov’è che l’ho già sentito?: 16.

Shade Owl (ballando sul tavolo): – EEEEE… MACARENA!-

Evgenij:- Shade, dai, non siamo neanche a metà della recensione…-

Ennesima scena di aggressione da parte di Rigel che riassumo perché già questa recensione è chilometrica, non è il caso di allungare il brodo inutilmente e non voglio incazzarmi inutilmente.
Lei gli dice che non riuscirà a rovinare tutto, lui la minaccia e la mette con le spalle al muro.

«Oh, no, no Nica» ringhiò sottile, facendo schioccare la lingua, come un rimprovero. «Tu devi smetterla. Questo tono da usignolo indifeso… non farà altro che peggiorare le cose».

I veri uomini sono buzzurri: 8.

Dovrebbe essere romantico?: 7 (l’aggressione conta).

Sai non essere uno stronzo per UN solo minuto, Rigel?

Rigel (mentre scrive un tweet a sostegno di Andrew Tate):- Quanti ne sono passati?

Passiamo alla prossima scena degna di nota, ovvero l’ennesima scena in cui lui fa lo stronzo.
Nica sente degli strani rumori provenienti dalla camera di Rigel e sbirciando dallo spiraglio vede che:

Era in piedi al centro della stanza, e mi dava le spalle. Dallo spiraglio, riuscii a vedere le vene gonfie sulle braccia irrigidite e i pugni chiusi lungo i fianchi.

Furono quelli ad attirare la mia attenzione. La pelle era tesa sulle nocche e le dita che stava stritolando erano esangui. Mi accorsi della tensione che gli percorreva i muscoli fino alla spalla e non riuscii a capire.

Non sta avendo un ictus.
Magari.

Poi lei entra nella stanza con i vestiti lavati.
Lui si incazza perché è entrata nella sua stanza. Premetto di essere il primo ad infastidirmi se qualcuno entra nella mia stanza senza bussare, ma qui si esagera.

I veri uomini sono buzzurri: 9.

«Ti sbagli» obiettai. «La gentilezza è sincerità. E non chiede nulla in cambio».

«Davvero?» Il suo sguardo scintillò quando socchiuse appena le palpebre. «Eppure devo contraddirti. La gentilezza è una forzatura… Soprattutto quando è rivolta a chiunque».

[…]

«Io sono il fabbricante di lacrime per te» declamò. «Sappiamo entrambi cosa intendevi. ‘Non rovinerai tutto’ mi hai detto… Io sono il lupo della storia, non è vero? Allora dimmi, Nica: come la chiami una gentilezza verso qualcuno che vorresti solo vedere sparire se non… ipocrisia

Superiorità perché non reagisce alle tue provocazioni e continua ad essere corretta? O sindrome della crocerossina?

Dov’è che l’ho già sentito?: 17.


Lei ha un attacco di neuroni e gli chiede perché la segue sempre e questa è la risposta:

«Lo sai perché le favole finiscono con ‘per sempre’ Nica?» sibilò lui implacabile. «Per ricordarci che ci sono cose destinate all’eternità. Cose immutabili. Cose che non cambiano. È nella loro natura essere ciò che sono, altrimenti l’intera storia non sussiste. Non puoi sconvolgere l’ordine naturale senza sconvolgere il finale. E tu, tu che fantastichi tanto… tu che non fai altro che sperare… tu che sei così aggrappata al tuo lieto fine, hai abbastanza coraggio per immaginare una favola senza lupo?»

fanwriter91 (canticchiando): What is it, puss? Your life flashed before your eyes? ‘Cus I’m quicker, smarter, bigger, and you’ve just realised…-

Passiamo avanti. Andando a scuola, Nica vede una lumaca che sta per essere investita e lei:

Scesi dal marciapiede e la raccolsi prima che potesse attraversare e trovare la morte; i capelli mi grondarono accanto al viso, ma quando vidi che stava bene ed era tutta intera un sorriso spontaneo mi spuntò sulle labbra.

«Ti ho presa» sussurrai, accorgendomi troppo tardi di aver fatto una sciocchezza. Udii il rombo di un motore, una macchina che arrivava veloce alle mie spalle. Il cuore mi salì in gola. Non feci in tempo a voltarmi che qualcosa mi strattonò via con forza.

Mi ritrovai sul marciapiede con gli occhi sgranati e il suono furioso del clacson che mi sfrecciava accanto.

Ok l’animalismo e tutte cose, ma qui si esagera.

Ci scommetto i miei capelli che Nica considererebbe carino anche un Leviatano Mietitore.

Ovviamente quello che l’ha strattonata è Rigel. Probabilmente lo ha fatto per non essere accusato di omissione di soccorso, altrimenti non me lo spiego.

Evgenij:- Ma no, ovviamente è perché la ama, anche se fa di tutto per mostrare di odiarla… Originalità…-

Saltiamo alla prossima scena degna di nota.

C’è una scena in cui un tizio si affronta Rigel perché:

«Ti ho visto che ci parlavi [con la ragazza del tizio], la stavi importunando» il ragazzo gli andò ancora più vicino. «Non ti devi azzardare, hai capito?» lo minacciò.

L’espressione di Rigel era impenetrabile, come se non lo avesse minimamente scalfito. Eppure non mi rassicurava. Le ali da angelo nero erano avvolte attorno al suo corpo, nascoste e invisibili a tutti, ma temevo l’istante in cui le avrebbe spalancate per dare il peggio di sé.

«Non credere di poter fare il cazzo che ti pare solo perché sei nuovo. Qui le cose girano in modo diverso».

La ragazza in questione aveva solo scattato una foto a Rigel.

I veri uomini sono buzzurri: 11 (bastava andare dalla preside a denunciare).

Avanti veloce (di nuovo).

Arriva San Valentino e in questa scuola c’è la tradizione di regalare una rosa alla persona amata.

Evgenij:- Chiamata Garden Day. Siamo ai livelli della Festa del Grazie.-

Ovviamente Rigel riceve un sacco di rose, ma le butta via tutte.

E Nica ne trova una nel suo armadietto. Però è nera.

Cosa?
Come faceva Rigel a sapere la combinazione?

Non ho mai detto che è stato Rigel.

Tizi* a caso:- Tanto lo hanno capito pure le pietre.-

Si vedrà.

Nica entra di nuovo nella stanza di Rigel perché ha perso la fotografia fatale dell’amica generica, e lui la sgama. Segue ennesima scena inquietante, lui le strappa la rosa, e quella notte lei ha un incubo.

I veri uomini sono buzzurri: 12.

Dovrebbe essere romantico?: 8.

Però Rigel non è più l’unico a poter essere il misterioso donatore della rosa nera. Un ragazzo si presenta a casa di Nica con il libro di biologia di lei. Altri non è che il terzo membro del triangolo amoroso che si andrà a formare, che si chiama Lionel.

Dov’è che l’ho già sentito?: 19 (perché ho avuto le vibes da Maid-sama!).

Shade Owl (versandosi un altro shottino): – … credo… hic… di essciere scià alla… hic… quinta bot… hic… tiglia… hic…-

Lion o Leone era troppo da poracci?

Evgenij:- Chiaramente, è un riferimento a Lionel Hutz. Oppure è un nome altisonante a caso.-

Nica ha scritto il suo indirizzo nel libro, per la cronaca. Non è assolutamente un espediente di trama forzato, no no.
Questo Lionel se ne va, segue altro salto temporale, e ora Nica sta curando un calabrone.

Poi lui si librò in volo.

E io sbiancai.

Lanciai via il legnetto e corsi come una matta: mi nascosi la faccia tra le mani, strillando in modo vergognosamente infantile. Inciampai nei miei stessi passi e sulle mattonelle del vialetto persi l’equilibrio. Sarei caduta se delle mani non mi avessero sostenuta all’ultimo momento.

«Che…» avvertii alle mie spalle. «Ma sei impazzita?»

Mi voltai di scatto, smarrita, stringendo le mani che mi avvolgevano. Due occhi mi fissavano allibiti.

«Lionel?»

Cosa ci faceva lui nel giardino di casa?

«Lo giuro» esordì imbarazzato, «non ti pedino».

Ci crediamo tutti, sì sì. Ma essendo ambiguo non lo conterò. Per ora.

I due vanno al bar e si scambiano i numeri di telefono.
Perché penso che Rigel li pesterà entrambi dopo questo?

[Rigel] [n]on era un principe. Era un lupo. E forse tutti i lupi avevano l’aspetto di principi splendidi e delicati, altrimenti Cappuccetto Rosso non si sarebbe lasciata ingannare.

Questa era la conclusione che sapevo di dover accettare.

Non c’erano luci.

Non c’erano speranze.

Non con uno come Rigel.

Perché non riuscivo a capirlo?

Perché sei la protagonista femminile di uno YA commerciale, tesora.

Dov’è che l’ho già sentito?: 21.

I due rimangono a casa da soli perché Anna e Norman devono andare ad un convegno.

Convegno di che cosa, se una è una fioraia e uno un disinfestatore?! Non ci viene detto, ma è solo un espediente per la prossima scena, quindi non è importante.

Comunque, avevo indovinato prima.
Lionel e Rigel si sono picchiati.

Non solo, Lionel manda a Nica le foto di lui pestato.

Evgenij:- Insomma, il livello è l’intimidazione ‘ndranghetista.-

I veri uomini sono buzzurri: 12.

Dovrei staccare il cervello: 7.

Stranamente, Nica reagisce.

E qualcosa scattò.

Di slancio mi gettai in avanti e lo colpii con irruenza. Graffiai il tessuto bagnato dei suoi vestiti, i gomiti, le spalle, ovunque riuscissi ad arrivare, e Rigel indietreggiò sotto quell’assedio inaspettato mentre le lacrime mi rotolavano sulle guance.

«Perché?» urlai con voce spezzata, cercando di afferrarlo. «Perché? Che cosa ti ho mai fatto?»

Mi spinse indietro cercando di raggiungere le scale. Strappò via le mie dita come fossero ragni, lo sguardo ostinatamente puntato in avanti, mentre io artigliavo la stoffa con i cerotti tentando di fargli male.

E poi segue un limone fra i due. Passiamo al prossimo capitolo, è meglio, dove c’è un cambio di POV.

C’è anche scritto che dovremmo ascoltare in sottofondo “Nuvole bianche” di Einaudi. Ciccia, la playlist la metti sul tuo sito (o su Wattpad), non in un libro.

Scopriamo che Rigel è la copia carbone fatta male di Rey (PromisedNeverland), se fosse un bad boy fyccinario. E senza nessuna delle sue qualità.

Lui in pratica la amava, però è maledetto, non riusciva a stare lontano da lei. E che quello che le faceva era per amore. Ti ci mando ora o dopo?

Dov’è che l’ho già sentito?: 23.

Dovrebbe essere romantico?: 10.
ALLORA:

1) Andarci a parlare? Non ci vuole nulla.

2) Il fatto che tu sia diverso non ti autorizza a fare lo stronzo.

3) Non accetterò, dopo quanto visto, che quei comportamenti fossero dettati dall’amore. Non è così che funziona.

4) Potevi fare uno sforzino, *segue una bestemmia da censura. Fate funzionare la fantasia*.



Shade Owl: – Gli Ele… hic.. nchi Nume… hic… rati scionno… hic… il masscimo! Hic!-

Perché si è picchiato con Lionel, a proposito?

Perché quest’ultimo aveva scoperto che Rigel non era il vero fratello di Nica. E quindi?!

I veri uomini sono buzzurri: 14.

Segue una scena dove Nica si ricorda della sua madre biologica.

Me la ricordavo, mamma.

Capelli crespi e profumo di viole, occhi grigi come il mare d’inverno.

Me la ricordavo perché aveva dita calde e un sorriso gentile, perché mi faceva sempre prendere in mano gli esemplari che studiava.

«Fai piano» sussurrava in quel ricordo, mentre dalle sue mani una bellissima farfalla azzurra scivolava dentro le mie.

«È la delicatezza, Nica» mi diceva. «La delicatezza, sempre… Ricordatelo».

Poi:

Il cellulare si illuminò ancora ma non mi alzai a rispondere. Non avevo il coraggio di leggere altro.

Sapevo già cosa c’era scritto, la sequela di messaggi di Lionel era un’accusa dietro l’altra.

‘Guarda cosa ha fatto’.

‘Gli ho detto di fermarsi’.

‘Ha iniziato lui’.

È colpa sua’.

‘Mi ha colpito senza motivo’.

Io l’avevo visto succedere già troppe volte, non mi era rimasta più forza per dubitare che fosse vero.

E nessuno andrà dalla polizia a denunciare l’accaduto. Tutto normale.

Dovrei staccare il cervello: 9.

Raggiunsi il piano terra, immerso nella penombra. Ero ormai alla cucina quando, improvvisamente, inciampai su qualcosa che per poco non mi fece cadere. Il respiro mi scappò di bocca. Mi aggrappai alla parete e fissai il pavimento sbattendo le palpebre.

Che…

Le mie dita trovarono subito l’interruttore.

La luce mi ferì gli occhi: l’istante dopo inspirai bruscamente e indietreggiai in un gesto istintivo.

Rigel era riverso a terra, i capelli sparpagliati sul parquet.

Non è morto, purtroppo. Lei, invece di chiamare un’ambulanza come avrebbe fatto chiunque, chiama Anna.

E niente, lo salva.

Ti odio, avrei voluto sibilargli, come chiunque avrebbe fatto al posto mio. Ti odio, non sopporto i tuoi silenzi, ogni singola cosa che mi dici.

Odio il tuo sorriso, il modo in cui non vuoi avermi vicino, tutti i morsi che mi hai dato.

Ti odio per come sai rovinare le cose più belle, per la violenza con cui te ne vai, come se fossi io a privarti di qualcosa.

Ti odio… perché non mi hai mai dato altra scelta.

Ma dalla mia bocca non uscì niente.

Quel pensiero non si concretizzò, si sciolse sul mio cuore e la rassegnazione mi svuotò del tutto. Improvvisamente mi sentii stanchissima.

Perché non era vero.

Io non odiavo Rigel. Non lo avrei mai odiato.

Avrei solo voluto capirlo.

Ma cosa stai…?! Scemo io che ogni volta ci credo.

Il giorno dopo lei si risveglia aggrovigliata a lui. Puntuale come il ricordo della povertà che ti costringe ad alzarti, il telefono squilla. E con la stessa fatica che faccio quando devo uscire dalla doccia, tenta di scrollarsi di dosso Rigel.

E rientrano pure i genitori.

Il panico mi assalì. Anna e Norman.

«Nica!» mi cercò Anna, e io affondai le dita nelle spalle di Rigel.

Oh, Dio, no, no, no…

«Rigel, devi lasciarmi andare» il cuore mi sussultava come un insettino scalmanato. «Adesso!»

Siete fratelli e siete pure vestiti. E Anna sapeva che Rigel stava male, per cui non vedo il problema.
Saltiamo la scena successiva perché è identica a…. Fatemi pensare….. alla maggior parte delle loro interazioni, e andiamo avanti.

Ah, e Anna non si fa domande sui segni di percosse che ha Rigel. O almeno, non ci fa molto caso.

Dovrei staccare il cervello: 12.

Per lo meno non sono genitori abusivi, dai. Sono solo assenti.

Lionel il giorno dopo invita Nica a fare una passeggiata e

«Lionel, siamo usciti dal quartiere» cercai di fargli notare, rallentando fino a fermarmi. Lo osservai proseguire finché non vide che non lo stavo più seguendo.

«Che fai?» domandò, guardandomi. «Oh, non preoccuparti. Io conosco bene queste zone» aggiunse con tranquillità. «Vieni».

La porta nello studio di suo padre. Dove c’è la sua collezione di insetti. Praticamente è come portare un vegano a mangiare la porchetta. O portare me in un reparto natalità e parlare dei futuri figli (ho il terrore della gravidanza).

Ma complimenti per il tentativo, soldato. Tenta anche di baciarla, ma lei si sente male perché ha un flashback improvviso sul suo passato.

Al ritorno segue questa scena con Rigel (sto diventando ripetitivo, ma è colpa del libro).

«Come siete finiti a mettervi le mani addosso?»

«Fattelo raccontare da lui» scoccò Rigel con un tono così velenoso da farmi sussultare. «Ti ha già detto tutto, no?»

«Voglio sentirlo da te» sussurrai con voce più flebile.

Rigel inclinò il volto attraente, e un sorriso meschino gli fece brillare le labbra. Ma non gli occhi.

«Perché? Vuoi i dettagli di come gli ho spaccato la faccia?» chiese con un astio tale che mi colpì.

I veri uomini sono buzzurri: 15.

Nica si ricorda anche dei poteri telecinetici di Rigel.

E il fatto che minacci di picchiarti e che sia violento non conta?

Sono troppo cariatide per esprimermi diversamente.

Nel capitolo successivo arrivano degli amici di famiglia, la cui figlia, di nome Asia, non sembra essere molto bendisposta nei confronti della coppia che scoppia.
Durante la cena, Rigel si sporca di salsa e inizia a leccarsi il pollice che manco in un porno. Roba che se lo faccio io le urla arrivano in cielo.

Fanwriter91 (canticchiando):- You’ll fear this purple thumb…-

Evgenij:- Abbiamo capito che ti piace Il Gatto con gli Stivali 2, e come darti torto!-

Nica arrossisce e Anna le chiede cosa abbia. E non nota Rigel.
Io boh.
E poi lui si mette a suonare il piano random.

Andando avanti, lei origlia un discorso tra gli ospiti e la figlia di questi, che non ama i due intrusi, lei scappa e si ritrova faccia a faccia con Rigel, ennesimo pippone sul quanto sia bello, lui la minaccia ANCORA e le chiede perché non gli stia lontana. Ah, LEI ti tormenta e non sei tu che ti comporti come uno stronzo da galera?

«Non è colpa mia» soffiai, più piano di un respiro.

Era lui.

Era lui che mi impediva di stargli lontano.

Era colpa sua.

Lascio dire a Fantozzi quello che penso.

I veri uomini sono buzzurri: 16.

Dovrebbe essere romantico?: 12.

Piccola parentesi sulle parti dove viene detto che Rigel è bono. E che non ho contato perché sto skippando un botto di roba.
Io capisco che il pubblico principale sia costituito da ragazzine preadolescenti (certo che però è triste, visto che la maggior parte dei libri di Wattpad tradotti in italiano hanno solo quel pubblico), ma mettiamo che una ragazzina sia attratta dai ragazzi biondi e magri o da ragazzi più adulti.

In fondo questi libri sono questo: porno cartacei che servono a soddisfare fantasie.
Non hanno nient’altro, puntano tutto su quello.
Un minimo di sforzo, santo cielo.
Tanto questi libri vendono comunque, se ci metti il bad boy.

Intanto, nella storia accade finalmente qualcosa di interessante.

Rigel è andato male in un compito.

Tutto qui.

È pur sempre il protagonista maschile di uno YA. È e deve essere perfetto.

Nica deve fargli ripetizioni.
In realtà è stato tutto organizzato perché lui voleva stare con lei.

Ma non li hanno in soldi per pagarsi un insegnante per ripetizioni? Chiedo, eh.

Ennesimo Pov di Rigel, ma ha detto le stesse cose della prima volta per cui lo saltiamo.
Almeno siamo a metà libro.

Non ancora soddisfatta di essere stata trattata peggio di uno straccio usato per pulire i bagni, Nica tenta di nuovo di ragionare con Rigel.

«Rigel…»

«Stai lontana».

La sua voce dura e reattiva mi centrò al petto. Spinse fuori quelle parole come se fossero un’urgenza che gli aveva ustionato la lingua e, all’istante, mi rivolse uno sguardo febbrile.

Afferrò la maniglia della porta che conduceva alla sua stanza e indietreggiai quando vidi le sue nocche sbiancare: lo fissai, confusa e ferita, incapace di capire cosa avessi scatenato in lui, e l’attimo dopo Rigel sparì dalla mia vista sbattendosi dietro la porta.

Fu come se un macigno mi fosse caduto sul cuore.

Perché aveva avuto quella reazione?

Era stata… colpa mia?

Che cosa avevo sbagliato?

Dovrebbe essere romantico?: 14 (ci metto anche il palese victim blaming).

Shade Owl (fissandosi una mano con aria sbalordita): – Perché… hic… ho scinque… hic… ditta… hic?-

Sapete, posso affermare per esperienza personale che cercare di salvare qualcuno che non si vuole salvare da solo è distruttivo.
Ok, chiudiamo la parentesi moralista.

Segue conversazione con Anna:

«Forse sto imparando a conoscervi un po’… Rigel è un ragazzo complicato. Vero?» mi rivolse un sorriso dolce amaro. «Eppure, prima sono passata su. Stavate lavorando bene insieme. Sono sicura che grazie a te ha capito molte cose».

Dovrei staccare il cervello: 13.

Sto piangendo.

Segue ennesima scena dove c’è una velata minaccia.

Aprii il libro alla pagina de La Sirenetta di Andersen.

«In questa c’è il mare e una ragazza innamorata di un principe. Ma non ci sono lupi. Non segue le regole. È diversa».

«E c’è un lieto fine?»

Esitai, perché Rigel sembrava già sapere la risposta a quella domanda.

«No. Lui alla fine si innamora di un’altra. E lei… muore».

Improvvisamente mi chiesi perché avessi scelto di addentrarmi in quel discorso. Gli avevo appena dato ragione.

Era stato proprio in quella stanza, l’ultima volta, che Rigel mi aveva parlato del compromesso di un lieto fine: senza le regole l’ordine si sconvolge.

«È ciò che insegnano» disse cinico. «C’è sempre qualcosa contro cui combattere… Cambia solo il tipo di mostro».

«Ti sbagli» sussurrai, decisa a far valere le mie parole. «Le favole non ci insegnano a rassegnarci. Ci spronano a non perdere la speranza. Non ci spiegano che i mostri esistono… ma che possono essere distrutti».

Improvvisamente ricordai ciò che mi aveva detto proprio davanti alla libreria…

«E tu, tu che sei così aggrappata al tuo lieto fine, hai abbastanza coraggio per immaginare una favola senza lupo?»

I veri uomini sono buzzurri: 16.

Mannaggia a Kelsey, BASTA!
Perché mi sono offerto volontario? Potevo farmi i cavoli miei.

Evgenij:- Faccio notare che quella frase sul fatto che le favole insegnino che i mostri possono essere distrutti circola in rete da anni. Lo dico nel caso si volesse dire che è carina: sì, ma non è un’idea di Erin Doom.-

Siamo al capitolo venti, che inizia con un dialogo tra un tizio anonimo e la tizia dell’orfanotrofio.

Il disastro era dentro di lui, radicato tanto a fondo da essere incurabile.

«Lei può anche non accettarlo, signora Stoker. Ma il bambino mostra i primi sintomi evidenti. La sua incapacità di relazionarsi con gli altri è soltanto uno dei segnali. E, per quanto riguarda il resto…»

Rigel smise di ascoltarlo perché quel ‘resto’ era ciò che più faceva male.

Perché era così? Perché non era come gli altri? Non erano domande per un bambino ma non poteva fare a meno di porsele.

Perché mi puzza di sociopatia?

Evgenij:- Stoker, come l’autore di Dracula? Speriamo che chiamino Van Helsing per liberarci da Rigel!-

Ma adesso, miracolo divino, il libro ha pietà di me e succede qualcosa.

Nica becca la sua migliore amica e la stronza (finora escluse perché, come ho detto, sono inutili) che si baciano. Si, avete capito bene. Però non è un bacio consensuale perché la prima sta dormendo.

Nica, con mia sorpresa, reagisce bene e la invita a parlare di questo.

«Miki… Ti piace Billie?» La mia voce fu delicata e limpida come acqua.

Era una domanda sciocca ma gliela feci lo stesso perché volevo farle capire la semplicità di quel momento.

Miki non rispose. L’amarezza le stringeva le labbra e le annodava la gola.

«Non c’è niente di male…» Feci piano, pianissimo, come se le mie corde vocali stessero modellando del vetro, e la cercai con occhi puliti. «È una cosa bella…»

Devo ammettere che è già un passo avanti rispetto ad altre fyccine, dove i personaggi LGBT sono per lo più ragazzi gay che vengono messi lì per fare contente le ragazzine, senza però un alcun vero spessore. *Coff Coff* Come anima mai *Coff Coff*

JoSeBach (sbucando da dietro un angolo):- A dire il vero, da persona lesbica, credo che questo sia pure peggio dell’assenza di una donna lesbica perché qui la sua presenza pare che serva solo a dare la pacca sulla spalla alla comunità LGBT+… Non solo, ma le uniche caratteristiche di Miki sono “essere lesbica” e “io la amo ma lei non lo sa (l’ho baciata mentre dormiva uwu)”, ed è una rappresentazione che fa solo danni perché, onestamente, preferisco non avere personaggi queer che averne ma i cui atti d’abuso vengano giustificati, anzi, dovrebbe essere una regola generale per ogni essere umano. Poi è ora di farla finita con questa infantilizzazione delle coppie e dinamiche lesbiche: diciamocelo chiaramente, le relazioni lesbiche non sono più pure di altre relazioni solo per la loro configurazione. Eccheccazzo…-

Anzi, spezzo una lancia a favore di Nica perché il discorso che fa dopo mi ha fatto un po’ commuovere. Davvero.

«Esiste un bruco» cominciai dopo un po’. «Un bruco diverso da tutti gli altri. A volte lo puoi vedere sulle foglie di acanto. Sai… i bruchi lo sanno che devono trasformarsi. Arriva un momento in cui fanno il bozzolo e poi mutano in farfalle. No? È molto semplice… Ma questo bruco… Be’, lui non lo sa. Non sa che può diventar farfalla. Se lui non si sente di fare la crisalide… Se lui, ecco… non ci crede abbastanza… non si trasforma. Non costruisce il bozzolo. Resta bruco per sempre». Mi fissai le mani rovinate. «Magari è vero: a Billie non piacciono le ragazze. Però… forse potresti piacerle tu. Forse a volte ci sono persone che ci colpiscono e ci restano dentro indipendentemente dal loro… involucro esterno. Sono importanti e non possono essere sostitui- te da nessuno» alzai il viso, pacata, guardando il muro. «Forse Billie non ha mai pensato a te in quel modo… Forse non lo farà mai, ma… è anche vero che tu sei l’unica persona che lei vuole accanto sempre. E se tu non glielo dici… Se non ci provi neanche, Miki… non potrai mai scoprire se per lei può essere lo stesso. E allora le cose non cambieranno mai. E allora Billie non ti vedrà mai davvero. E allora rimarrai bruco… per sempre».

(SpectreThief si asciuga le lacrime.)

Dopo questa parentesi, partono a ruota i colpi di scena classici da fyccina. In pratica, salta fuori che la nutrice che ha cresciuto fino ai dodici anni i bambini dell’orfanotrofio commetteva abusi sui bambini. Gli attacchi di panico di Nica erano causate dalle memorie sepolte. È come Michelle Remembers, solo che per lo meno non ha sfumature sataniche.

Premetto di non essere la persona più adatta a giudicare questo passaggio visto che ho l’empatia di un muratore bergamasco e poca esperienza, ma considerando che è l’ennesima scusa per empatizzare con Rigel, perché lui per motivi ignoti non veniva picchiato e quindi si sentiva diverso dagli altri, beh… no.

L’essere vittima di abusi non ti giustifica dall’essere uno stronzo. Ognuno reagisce a modo suo, te lo concedo, ma non ti giustifica. Soprattutto dopo quello che ci hai mostrato.

Evgenij:- Ma poi, lui NON era vittima!! Gli altri lo erano!-

Ora veniamo anche a sapere che Anna e Norman avevano un figlio di nome Alan, che è morto. Ecco perché Asia l’aveva con loro. E avevano tolto dalla casa ogni ricordo di lui. Vabbè, ognuno affronta il lutto a modo suo.

Nica tenta di parlare con Asia, nonostante questa sia arrabbiata (farsi i fatti suoi e lasciare che il lutto faccia il suo corso è troppo mainstream, a quanto pare).

Questa tenta di mollarle un ceffone che però si becca Rigel.
Però questo poi si bacia con Adeline. Una loro vecchia amica. E Nica sviene.

Vorrei fare notare che lei non può stare con un altro mentre lui si.

Dovrei staccare il cervello: 14.

È stata una parentesi piacevole, va’.

E niente, alla fine limonano. Mi stavi quasi simpatica, Nica, ma stai perdendo un po’ di punti in questo momento.

Compare di nuovo Lionel, che invita Nica ad una festa. Sorpresa sorpresa, lì lui tenta di stuprarla. Ma Rigel la salva. Come al solito, così il molestatore violento e possessivo ci sembrerà migliore, rispetto al suo rivale stupratore.

Dov’è che l’ho già sentito?: 24.

Shade Owl (appoggiando l’occhio sul collo della bottiglia vuota): – Ma… hic… dove è… hic… fignita la mia… hic… vodka?-

«Io non sono una delle tue bestioline, Nica» mormorò con voce triste. «Non puoi… aggiustarmi».

«Non voglio farlo» sussurrai.

Lui aveva lasciato rose dentro di me, aveva lasciato petali e scie di stelle lì dove prima ero un deserto di crepe. E ci eravamo scambiati qualcosa, in silenzio, all’ombra dei nostri difetti.

Rigel era un lupo e io lo volevo esattamente per ciò che era.

«Io ti voglio… così come sei. Te l’ho promesso. E non ho smesso di crederci… Non ti lascerò solo, Rigel. Permettimelo… Permettimi di restare con te».

Non per rovinare il momento romantico, ma solo perché condividete un trauma non significa che ora siate intimi. E dopo un libro passato ad avere paura di lui, ho una sensazione di estraniamento. Ma fate quello che volete. Ormai voglio solo finire.

Rigel va dallo psicologo (meraviglia), ma è una scena inutile che non riporto neanche, dato che, gran novità, Rigel fa lo stronzo. Perché secondo Rigel la terapia è solo per malati mentali.

Dove che l’ho già sentito?: 25.

I veri uomini sono buzzurri: 17.

Sistemai i fiori in un vaso e li guardai risplendere floridi. Come sempre erano meravigliosi. Lei notò il mio sguardo e sorrise radiosa.

«Ti piacciono?»

«Sono splendidi, Anna» ammisi incantata dalla loro bellezza. «A chi li devi consegnare?»

«Oh, no, Nica. Questi non sono da consegnare. Sono per te». Mi fissò raggiante e poi declamò: «Te li manda il tuo ragazzo».

Per chiarire, Lionel non ha detto che erano fidanzati.

Fanwriter91 (canticchiando):- I guess this little girl hit the orphan lottery!-

Primo, se si può ricevere fiori solo dal proprio ragazzo, mia sorella fa la birichina, visto che a San Valentino ha ricevuto tre bouquet diversi.
Secondo, lei non dice “Non è il mio ragazzo, anzi ha tentato di violentarmi”.
Ok che non è facile parlare di questo, lo capisco, ma nella narrativa ha rotto un po’ sta cosa.

Dov’è che l’ho già sentito?: 26.

Lionel ritorna in scena mentre Nica e Rigel stanno limonando su un ponte o comunque un posto elevato e cadono. Però Rigel, con un tempismo che neanche Spiderman, para la caduta di Nica e va in coma. Sono cattivo se dico che sto godendo?

E si scopre anche che Rigel se ne vuole andare perché..

«È stata una sua richiesta» confessò con un dolore palpabile. «Una sua volontà… È stato irremovibile. La settimana scorsa… mi ha chiesto di interrompere il processo di adozione». Anna deglutì, scuotendo piano la testa. «Abbiamo concluso tutto in questi ultimi giorni. Lui… non voleva più restare».

Ohhhhh, finalmente in bad boy che si accorge di essere uno stronzo e leva le tende. Se non ricade nel cliché dove restano insieme il mio voto per questo libro non sarà inferiore al 7.

E si scopre anche che….

«Quella di cui soffre Rigel è una patologia rara» disse il dottor Robertson. «Una sindrome cronica che con il tempo è andata attenuandosi. Si tratta di un disordine neuropatico che si manifesta con crisi di dolore al quinto nervo cranico. In particolare… le tempie e gli occhi. Ci è nato, ma con il tempo si impara in qualche modo a conviverci… Purtroppo non esistono cure, ma gli antidolorifici possono tenere a bada il dolore e con il passare degli anni aiutare a ridurre il manifestarsi delle crisi».

Ehm….. a parte che qualche scena non mi pare che abbia tutto ‘sto impatto con il personaggio. E poi, patologia rara…. Quale? Ce ne sono di centinaia. “Perché è caduto dalle scale” e quindi? Cercare su internet qualcosa di più chiaro, troppo sbatti? E poi si fa pure confusione tra disturbi mentali… no.

Shade Owl: – Io… hic… scioffro di emicragna… hic… e prendo un sciacco di… hic… analgescisci… hic. Rara un ca… hic… ca… hic… corno.-

Non sono un medico, ma un disturbo neuropatico è una cosa, una patologia psichiatrica è un’altra cosa.

E ci viene anche detto che Anna e Norman sapevano della malattia, ma, considerando che compare solo ora, qualcosa non quadra. E mi dovete ancora spiegare come hanno anche solo pensato di lasciare un ragazzo con una patologia potenzialmente letale da solo con una ragazza senza esperienza medica che non sa nulla di questa patologia.

Dovrei staccare il cervello: 16.

Ennesimo ritorno di Lionel. Ma questo non dovrebbe essere in custodia cautelare o sotto ordine restrittivo, visto che ha mandato in coma un tizio e mandato all’ospedale una tizia che ha quasi stuprato?

Dovrei staccare il cervello: 18.

In compenso Nica lo calcioruota fuori dalle palle senza tante cerimonie.

Passiamo alla prossima scena utile. Nica sta leggendo quella cavolo di storia del fabbricante di lacrime a Rigel, ancora in coma, e lui si sveglia. Ci rendiamo conto che il titolo, a parte gli insulti e ‘sta storia, non ci azzecca una mazza con la trama?

Poi lei tenta di nutrirlo e l’autrice si ricorda che Rigel è un bad boy.

«Basta così» sibilò strappandomi via la confezione e il cucchiaio. Li mollò sul comodino, e prima che potessi protestare anche il vassoio subì la stessa sorte.

«Oh, insomma» soffiai con voce piccola, «lo avevamo quasi…»

Il suo braccio mi scivolò sulla vita e mi tirò verso di lui.

Cercai di non crollargli addosso ma fu inutile: la forza con cui mi trattenne mi rese impossibile togliermi di lì.

«Rigel» balbettai presa in contropiede, «che stai facendo?»

Tentai di arretrare, ma lui mi strinse a sé, premendomi al suo corpo; prima che potessi dire altro avvicinò le labbra al mio orecchio e ringhiò irriverente: «Non vorrai negarmi un po’ di… coccole».

Avvampai, mentre il calore della sua pelle mi ricordava quanto mi fosse mancato. Il mio respiro si fece tremulo, e Rigel affondò il viso nel mio collo e inalò il mio profumo, cingendomi col braccio; sentii i suoi polmoni dilatarsi lentamente.

«Rigel, è un luogo pubblico…» farfugliai, rossa.

«Mh…»

«Se dovesse entrare qualcuno…» Le sue dita sfilarono piano la mia camicetta dai jeans trovando una strada sulla pelle della mia vita. Mi strinse il fianco e trattenni il fiato.

«R… Rigel, non vorrai far arrabbiare di nuovo la caposa…»

Sussultai e spalancai gli occhi, sconvolta, portandomi una mano sotto il viso.

Mi aveva appena dato un morso sul collo.

«Rigel!»

[…]

«Se dovesse entrare qualcuno…» Le sue dita sfilarono piano la mia camicetta dai jeans trovando una strada sulla pelle della mia vita. Mi strinse il fianco e trattenni il fiato.

«R… Rigel, non vorrai far arrabbiare di nuovo la caposa…»

Sussultai e spalancai gli occhi, sconvolta, portandomi una mano sotto il viso.

Mi aveva appena dato un morso sul collo.

«Rigel!»

Dovrebbe essere romantico?: 15.

I veri uomini sono buzzurri: 18.

Eravamo così vicini ad un lieto fine, li mortacci. In compenso però Rigel se ne va di casa, quindi non è così male.

(SpectreThief si accorge che è solo all’87% del libro.)

Cosa?! Che c’è ancora da raccontare?

Salto temporale di tre anni. È il compleanno di Nica, riceve un messaggio da Rigel con la posizione, incontra un amico e

«Rigel» deglutii, con gli occhi che nonostante tutto brillavano di trepidazione. Provavo una felicità incontenibile, ma quello sguardo letale non presagiva la corsa da favola che avevo sperato.

«Che succede?» chiese Will, senza riuscire a vedere.

Avevo la lingua come legata, così decisi di sollevare il cellulare per permettergli di capire da sé. Inquadrai il ragazzo alle mie spalle, e il fascino infernale spiccò anche in quella distanza. Cercai di sorridere mentre Will si faceva di sale.

«Rigel, hai… Hai conosciuto William?»

«Oh, non credo di avere ancora avuto il piacere» sibilò a viso basso, schioccando la mandibola.

Ennesima scena in cui fa lo stronzo, caccia via l’amico e la invita ad entrare.

Adesso capisco finalmente cosa provano le mie colleghe e i miei colleghi.

C’è anche un processo contro la tutrice abusiva, dove Nica viene chiamata a testimoniare. Però Rigel no e lo viene a sapere solo successivamente, cosa che lo manda in bestia.

«Cos’è, pensavi che fossi troppo debole per venire?» Fece un passo verso di me, sprigionando rabbia e dolore. «È a causa di quello che hai visto l’altro giorno? Della crisi?»

«No».

«E allora cosa

«Non volevo che lei ti vedesse» sussurrai con una sincerità disarmante.

Rigel non si mosse, ma nelle sue iridi qualcosa si era cristallizzato.

«Non potevo sopportare che ti mettesse di nuovo quegli occhi addosso» confessai. «Che nel vederti qualcosa in lei si risvegliasse. Non lo avrei retto. Odio l’ossessione che ha sempre avuto per te, l’affetto malato che ti forzava addosso. Mi fa mancare il respiro. La volevo lontana. Volevo proteggerti da lei, anche se questo avrebbe significato affrontare tutto da sola!»

Sento puzza di sindrome della crocerossina. I due bombano e finalmente la fin…. Ancora il 94%? Ma quando finisce? La faccio breve, per voi e per me.

Ennesima rissa di Rigel, due amici di Nica si fidanzano, Nica incontra gli amici di Rigel apparsi ora perché sì, c’è un amico di Nica che fa un discorso sensato che riporto qui:

«Peter» soffiai, «Rigel è molto diverso dal ragazzo che immaginavi…»

«Lo stai difendendo?» il suo sguardo scivolò fino al mio, incredulo. «Dopo tutto quello che ti ha fatto?»

Mi guardò come se fossi un’estranea, e di colpo una sfumatura cupa e velenosa gli adombrò il viso.

«Certo. In fondo è sempre stato bravo in questo. A manipolare… Ecco perché Adeline lo ha invitato. Persino dopo tutto questo tempo…»

Dov’è che l’ho già sentito?: 27.

Vedete? Pure il libro ci dice che è una cosa fottutamente sbagliata! L’unica ancora non convinta è Nica! E non perché se fosse successo a me avrei perdonato Rigel solo se si fosse messo in ginocchio ad implorare.

E invece no. I due si sposano, hanno dei figli e vivono felici e contenti! Miki rimane single e non si dichiara, quindi mi chiedo a che diavolo sia servito aggiungere questa sottotrama alla fine del libro se poi è inutile.

JoSeBach:- Non ironicamente la parte più azzeccata: useless lesbian. Auguri, sorella.-

Dove che l’ho già sentito?: 28.

E ce l’ho fatta!

Beh, è stato divertente.

(SpectreThief si accende pure la sigaretta.)

Spero che abbiate seguito il consiglio di non bere alcolici, altrimenti vi consiglio di chiamare un ambulanza, visto che il punteggio totale è 79!

Shade Owl (litigando con lo specchio): – Ti credi… hic… milliorre di mmme… hic? Io… hic… sciono Shade Owl… hic… Scignnorre… hic… degli Elllenchi… hic… Gnumeratti… hic!-

Oddio…

Cosa dire? Sul serio, c’è qualcosa da aggiungere?

Questo libro è (come ho detto all’inizio) anonimo, nel grande mare di schifo delle fyccine squallide. È uguale a tanti altri libri e fanfic che si trovano su Wattpad o sugli scaffali degli Young Adult scadenti con triangoli amorosi e relazioni abusive, niente di più e niente di meno.

Oltre al fatto che la copertina ti fa pensare ad un fantasy, e invece ti ritrovi con un romance da quattro soldi che celebra un rapporto basato su intimidazioni e violenza.


Ah, faccio le mie congratulazioni alla Doom perché di recente è uscito anche il suo terzo libro. Chissà che non meriti di venir menzionato anche quello sul nostro blog…

Dal vostro bastardo galantuomo è tutto.

Auf Wiedersehen,

SpecreThief

Un pensiero su “Fabbricante di Lacrime (Le uniche lacrime fabbricate sono le mie, per il trash)

Lascia un commento